Gatti mummificati famosi

Il gatto, come il cane, è l’animale domestico più amato e più presente nelle case italiane e, al pari del cane, il gatto dispensa amore e tenerezza incondizionati e quando vengono a mancare, se ne percepisce l’assenza con sofferenza. I proprietari di animali tendono a mantenere un legame con il proprio animale scomparso anche attraverso riti di distacco, sepolture, inumazioni. La cremazione di gatti a Roma è tanto possibile quanto per i cani e gli altri animali con la possibilità di ricevere le ceneri in restituzione o decidere di seppellirle in appositi cimiteri dedicati agli animali. La pratica di rendere un tributo alla memoria del gatto estinto non è affatto una cosa obsoleta o assurda, perché – soprattutto il gatto – è sempre stato “adorato” come divinità fin dai tempi dell’antico Egitto e persino tra gli antichi romani. Vi sono, oggi, in alcuni musei gatti-divinità mummificati rivenuti in alcune prestigiose tombe egizie.

La mummificazione dei gatti

L’amicizia tra uomo e felino risale almeno a 9.000 anni fa; ne è testimonianza il ritrovamento dello scheletro di un gatto nei pressi di una tomba a Cipro. Gli antichi egizi è, però, noto sono coloro che più di ogni altra civiltà ha identificato nel gatto l’espressione della divinità. Il gatto era associato alla Dea Bastet e gli egizi erano soliti mummificare i gatti per seppellirli accanto ai padroni, utilizzando la stessa tecnica impiegata per la mummificazione umana. Nonostante nelle tombe egizie siano stati rinvenuti esemplari di altri animali mummificati tra cui anche i leoni, le scimmie e i falchi, ai gatti è sempre stato riservato un trattamento speciale. Nella mummificazione dei gatti – nel periodo compreso tra l’828 e il 343 a.C. – sono stati esaminati campioni di tessuti di gatti mummificati sui quali sono stati rinvenute tracce di oli, cera d’api, grassi animali, zuccheri, resine di pino e altre sostanze impiegate per la mummificazione umana. La procedura si completava con uno strato di bitume nero, il colore che in Egitto rappresentava la vita. La pratica della mummificazione degli animali domestici era diffusa soprattutto tra le famiglie nobili o di rango, perché la sepoltura di un animale sacro a una divinità era un atto di rispetto e devozione  verso la divinità stessa.

I gatti mummificati del Museo Umberto Scerrato di Napoli

Nel Museo Umberto Scerrato dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” –da qualche tempo – è possibile visitare un’area dedicata ai gatti mummificati risalenti all’antico Egitto e rinvenuti nelle tombe dei faraoni. In esposizione ve ne sono 5, una proviene dal Nilo e 4 dalla Libia e si tratta di gatti i età compresa tra 4 e 8 mesi sacrificati alla divinità. Fino agli anni ’50 del secolo scorso, queste mummie erano ammassate e dimenticate nei depositi del museo napoletano. Solo nel 2014, si è pensato di recuperare questo aspetto della vita dell’antico Egitto, restaurando le mummie di questi felini. I cofani nei quali erano custodite le spoglie mummificate sono particolarmente ricchi di dettagli e colori: gli occhi dipinti di rosso e nero, il corpo decorato con motivi a losanghe e a spina di pesce, una decorazione molto rara tra gli esemplari rinvenuti finora. Nel mondo esistono, infatti, solo 25 mummie di gatto. La cosa singolare è che accanto ad ogni tomba di gatto è stato rinvenuto anche un “corredo” di cibi e ciotole che avrebbero dovuto accompagnare il micio nell’aldilà, perché gli Egizi credevano che ci fosse un aldilà anche per i gatti.